L'aereo atterro' in orario e qualcuno che non conoscevo mi sarebbe venuto a prendere agli arrivi. Un cartello con scritto il mio nome. Qui ne avrei avuto bisogno, non ero molto conosciuto e questo anonimato mi procurava un forte senso di sollievo.
Alto, bruno, di corporatura media, atletico, ovviamente, cosi' ero stato descritto all'autista che mi prese le valigie e mi porto' all'auto che attendeva all'uscita dell'aeroporto.
Mi accomodai sul sedile posteriore e mi persi in un'onda di pensieri senza mai volgere lo sguardo al finestrino. Non ero qui per turismo, avevo altre preoccupazioni.
Morales mi avrebbe incontrato il giorno dopo alle 11, avrei inoltrato la mia richiesta, pagato e lui non avrebbe fatto domande. Tutto sarebbe andato liscio ma io non ero tranquillo. Con me stesso soprattutto. Dentro di me si stava combattendo una battaglia difficile, confusa, dolorosa. Mi stavo prendendo un rischio enorme, ne ero cosciente, ma non ne potevo piu', avrei dato qualsiasi cosa purche' questa storia finisse e per poter tornare una persona normale. Normale. Chissa' poi che cosa voleva dire. In fondo non ero di sicuro l'unico ad essere sotto pressione, a dover raggiungere dei risultati che richiedevano sforzi enormi per il "successo". Il problema vero era che non lo avevo scelto io, o meglio lo avevo scelto ma lo facevo perche' era quello che pensavo che gli altri si aspettassero da me. Non e' forse quello che accade a tanti? "Ma tu sei uno sportivo, hai un dono, non lo puoi sprecare, guarda quanta gente crede in te e quanti vorrebbero essere al tuo posto, primeggiare essere un vincente e poi sei cosi' giovane, vorrai mica ritirarti ora, no?" quante volte aveva sentito queste parole, di buon senso certo, ma che non tenevano conto della passione, che non c'era piu' o forse non c'era mai stata, sostituita dal senso del dovere e dal bisogno di essere eccettato, di essere qualcuno, anche se quel qualcuno era una persona diversa da quella che avrei voluto nel mio profondo.
Il tutto pero' ora era cosi confuso, ero cosi stanco, anche solo di tentare di sbrogliare la matassa. Avrei preso le pillole sperando di non essere scoperto, sostenuto l'ultima gara, vinto o perso non contava piu' a questo punto e poi ... Chissa' forse mi avrebbero chiesto di gareggiare ancora, no questo non lo avrei sopportato. Allora meglio essere scoperti, la mia carriera sarebbe stata distrutta, io umiliato, ma tutto sarebbe finito, nessuno mi avrebbe chiesto piu' nulla. Si sarebbero dileguati e mi avrebbero lasciato libero.
Mi sentivo come in un tunnel senza uscita, imbrigliato in questa identita' che non sentivo mia, senza piu' la lucidita' e l'energia per dire no, per ribellarmi a un me stesso che si sentiva di valere solo se dentro agli schemi che lo avevano sostenuto fino ad ora. L'autodistruzione sembrava l'unica alternativa possibile in fondo.
Le persone sane, solide, mi avrebbero detto di no, che c'e' sempre una via di uscita, che basta un salto di prospettiva, ma quando ci sei dentro ti sembra tutto cosi complicato, vedi tutto negativo, fuori dal tuo controllo o troppo faticoso. La stanchezza, lo sforzo senza la ricarica della passione poi mi avevano a poco a poco eroso e tolto il sorriso. Gli allenamenti, i traguardi, il ricordo di quella medaglia che aveva fatto di me un campione mi caricavano addosso la convinzione di non poter deviare, che quella doveva essere la mia strada. Ero sfinito.
Quella strada intanto ora mi portava all'hotel Hilton di un paese straniero, di notte, solo. Feci il check in e mi ritirai nella mia camera, solo con i miei dubbi, i miei pensieri e la mia disperazione. Non ne avevo parlato con nessuno, non riuscivo ad ammettere la mia debolezza, in fondo ero il ragazzo perfetto, come disilludere tutti quelli intorno a me, la mia famiglia, la mia ragazza, i dirigenti sportivi, l'allenatore, me stesso?
Anna forse sarebbe stata l'unica a capire, a potermi sostenere, sa cosa vuol dire questo mondo, ne conosce i sacrifici e ha capito che non sono felice. Ma non voglio che abbia di me un'immagine di perdente, non voglio mettere a nudo la mia fragilita' a lei cosi' forte e solida, a lei donna, come mi vedrebbe?
Cerchero' di dormire, anche se il magone mi attanaglia la gola e mi sveglio di soprassalto senza respiro con la sensazione di essere al bordo di una voragine. Non ho via di scampo.
L'incontro con Morales fu velocissimo. Mi spiego' come dosare le pillole, quando prenderle. Mi guardo' negli occhi con uno sguardo gelido e indifferente. Pagai. ‘In bocca al lupo’ mi disse. Io feci un mezzo sorriso come a dire che non mi importava. Le valige erano gia' in auto ed era ora di tornare all'aeroporto e poi a casa.
Quando arrivai Anna non c'era, si stava allenando in un'altra citta'. Chiamai la mia famiglia, a cui avevo raccontato una scusa per giustificare il mio viaggio. Erano preoccupati perche' avevo saltato un allenamento e nelle mie condizioni fisiche e con gli ultimi risultati non brillanti era importante. Non me la sentii di telefonare a Michele, il mio allenatore, l'avrei visto l'indomani. Ormai parlare con lui mi pesava, mi veniva una specie di terrore, come se da un momento all'altro potesse scoprire che ero un bluff.
Entrai nella mia stanza dove era appesa la medaglia, non la guardavo mai. Certo, quando l'avevo vinta, mi aveva procurato una gioia immensa, un enorme senso di soddisfazione, ero fiero di quello che avevo fatto, felice di quello che gli altri avrebbero pensato di me, ma poi con il passare dei giorni, dei mesi, degli anni era diventato un oggetto come tanti altri, che veniva riesumato quando qualcuno veniva in visita e mi chiedeva di vederla, di toccarla. Nel quotidiano non mi aveva portato gioia, serenita', anzi mi aveva incatenato ad un'immagine che ai miei stessi occhi sembrava irragionevole non desiderare: l'avevo agognata cosi' tanto! Il successo non mi aveva dato quell'appagamento che mi aspettavo, dentro di me continuavo a provare un senso di insoddisfazione. Non ero chi volevo essere, ma non sapevo ancora chi fosse il mio io alternativo e questo mi spaventava.
A fianco della medaglia posai la scatola con le pillole, l'antitesi dello spirito dello sport, pero' in fondo anche cosi' coerenti con tutto cio' che e' spettacolo, investimento, business. Che differenza c'era, in fondo, con la cocaina che prendono alcuni dirigenti o imprenditori per reggere lo stress e la stanchezza pur di raggiungere risultati eccezionali.
Dietro lo sport c'e' ancora un'aurea di purezza, di moralita' che sarebbe cosi valida se poi non si scontrasse spesso contro valori antitetici. Dove girano soldi, impegno, sponsor, immagine e rapporti di potere, la morale a volte, purtroppo, rimane indietro.
Certo ho facolta' di scegliere da che parte voglio stare e quindi non ho scuse. Con chi mi schierero'? Con i puri, quelli che faticano, che rinunciano a tutto per vincere, per la passione che li lega al loro sport o al senso di sfida, oppure ai perdenti e infelici, quelli che hanno capito che non ce la faranno o che non hanno voglia di investire tutte quelle energie perche' in fondo lo sport non li soddisfa abbastanza eppure vanno avanti, oppure ai non puri, quelli che farebbero anche cose non lecite pur di vincere e di non tradire le aspettative di altri. Non ho ancora deciso.
Le ho prese. Ieri. Un bicchiere d'acqua e le ho ingoiate. Un gesto cosi semplice in fondo, ma da cui non si puo' tornare indietro. Ora vivo con il terrore di essere scoperto. Ogni mattino mi aspetto che suonino il campanello per un controllo.
Oggi e' arrivato. Avrei potuto evitarlo facendo credere di non essere in casa, ma non ce l'ho fatta. Non ho resistito alla tentazione di chudere questa storia e liberarmi da questo peso e dall' angoscia.
II resto lo sapete, lo avete letto su tutti i giornali. Sdegno, critica all'inizio, pieta' e quasi comprensione dopo le mie dichiarazioni.
Non mi aspetto che capiate, ho superato per la prima volta lo scoglio del giudizio degli altri e questa e' stata la mia piu' grande conquista, come persona, come uomo, come adulto. Avrei potuto farlo in modo piu' maturo, certo, senza rovinarmi il futuro, direte voi. E' vero. Ma non ne sono stato capace. Ho comunque preso una decisione di ribellione, anche se dettata dalla sofferenza e annebbiata, non di buon senso. Meglio una decisione sbagliata che una non decisione, almeno la situazione si e' sbloccata. Pazienza, riscostruiro' su queste macerie e la prossima volta avro', spero, maggiore coscienza di chi -io- voglio essere e voglio fare. Perche' questa, ho capito, e' l'unica strada verso la felicita'. Forse non saro' piu' un uomo speciale, e per esserlo avro' compromesso la mia dignita' e sofferto molto. Sara' un percorso lungo e spero di essere accompagnato dalle persone che mi vogliono bene, perche' ho scoperto che mi accettano e mi amano indipendentemente dai miei successi sportivi.
Non sono fiero di quello che ho fatto, ma credo di aver imparato molto da questa esperienza. Dimenticatevi di me. E' il piu' grande regalo che mi possiate fare. Domani verra' scoperto sicuramente un nuovo campione che potrete applaudire e anche, magari a torto, un po' invidiare.
Nota: Ogni riferimento a persone, luoghi o fatti reali e’ puramente casuale.